Viva la volontà!

    Spesso gli adulti trovano sconveniente che i bambini si esprimano dicendo «Voglio…» e cercano di correggerli. C’è chi li ammonisce dicendo che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re, chi cerca di insegnare loro l’uso del condizionale «vorrei» per esprimere educatamente i propri desideri, chi li invita ad aggiungere la parolina magica «per favore» per essere ascoltati, chi cerca di farli riflettere sul senso di quella espressione per dissuaderli comunque dall’usarla. In un caso come nell’altro sembra che l’adulto cerchi di insegnare al bambino che esprimere la propria volontà in modo diretto non va bene. Se però un bambino dice: «Da grande voglio fare l’avvocato», l’adulto probabilmente non cercherà di correggerlo, dimostrando così che in certi casi invece l’erba voglio può crescere tranquillamente dove meglio crede.

    Da cosa dipende questa apparente contraddizione? Va bene esprimere la propria volontà, oppure no?

    Quando un bambino dice a un adulto «Voglio l’acqua», a ben guardare non sta realmente esprimendo la sua volontà, poiché la volontà è una forza grazie alla quale noi ci mettiamo in attività, ma sta esprimendo solo un bisogno. L’adulto però, senza rendersene conto, ha abituato il bambino a usare l’espressione «Voglio…» come se fosse una richiesta alla quale segue senz’altro il soddisfacimento del suo bisogno. Ciò dipende dal fatto che quando il bambino piccolo comincia a parlare, l’adulto non si preoccupa tanto di insegnargli ad esprimersi correttamente, ma si rallegra di riuscire a cogliere ciò che il bambino vuole esprimere verbalmente. Perciò quando un bimbo piccolo sta imparando a parlare, l’adulto è felice di sentirlo pronunciare la parola «acqua» e gliela offre volentieri senza che il bambino debba aggiungere altro. Quando poi il bambino impara a dire «voglio acqua» l’adulto apprezza la sua accresciuta capacità linguistica e di nuovo gli offre acqua senza aspettarsi altro. Se però l’adulto non sa cogliere il momento in cui può insegnare al bambino a fare il passaggio successivo per formulare una richiesta articolata, il bambino continua a dire «Voglio l’acqua» aspettandosi di essere soddisfatto e sviluppa così l’abitudine ad essere servito dall’adulto, anziché a chiedere agli altri un aiuto se non può fare da solo. Per evitare ciò è sufficiente riportare l’attenzione sul vero senso delle parole e chiedere al bambino se l’acqua (o qualsiasi altra cosa) vuole prendersela da solo, o se vuole che qualcuno lo aiuti. In quest’ultimo caso basta dire al bambino che è bene formulare una domanda chiara, come ad esempio: «Mi puoi dare un po’ d’acqua, per favore?».

    Quando l’adulto, alla frase «Voglio l’acqua», invita il bambino solo ad aggiungere la cosiddetta parolina magica «per favore» è chiaro che continua ad attribuire all’espressione «Voglio…» il significato «Dammi…» e invita il bambino ad usare la formula di cortesia «per favore» in modo sbagliato, dal momento che in realtà egli non ha formulato alcuna richiesta. Un bambino così educato si abituerà a pensare che affermare la propria volontà equivale a chiedere agli altri che soddisfino i nostri bisogni. Di conseguenza non domanderà mai nulla, aspettandosi di essere soddisfatto nel momento in cui nomina ciò che desidera. E se anche – come è ovvio – l’adulto non lo accontenterà in ogni suo desiderio, l’abitudine ad ottenere senza formulare chiaramente alcuna richiesta si formerà comunque.

    Nel caso poi in cui l’adulto risponde che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re, il messaggio che arriva al bambino è che volere qualcosa non va bene. La realizzazione di sé però dipende dal fatto che una persona sappia cosa vuole e riesca a tradurre in azioni efficaci la propria volontà in armonia con quella degli altri. Affermando che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re l’adulto, senza accorgersene, comunica al bambino la convinzione secondo la quale nella vita la propria volontà deve essere messa in secondo piano, per compiere il proprio dovere («Prima il dovere, poi il piacere», dicevano i nostri vecchi). Questa convinzione ha prodotto una lacerazione interiore che è all’origine di molti disagi dell’umanità occidentale contemporanea e che, a seconda del temperamento del bambino, può dare origine a manifestazioni come insicurezza, nervosismo, aggressività, prepotenza,  introversione, irascibilità e altro ancora, ma anche ad atteggiamenti manipolatori volti ad affermare comunque la propria volontà su quella normativa dell’adulto.

    Da tutto ciò può risultare chiaro che quando il bambino usa il verbo «volere» è opportuno aiutarlo a comprenderne correttamente l’uso. Non c’è nulla di male nell’esprimere chiaramente la propria volontà, ma bisogna insegnare al bambino ad usare il linguaggio per formulare richieste altrettanto chiare. Così, se un bambino dice «Voglio l’acqua», a seconda dei casi gli si può rispondere ad esempio: «Io invece voglio una mela, me ne passi una per favore?». Oppure: «Quando io voglio qualcosa, o me lo prendo da solo, oppure chiedo a qualcuno. Tu come vuoi fare?» Non si tratta di avere pronta una formula, ma piuttosto di capire che la volontà è uno dei beni più preziosi dell’uomo e che è sulla volontà che si fonda la possibilità di vivere una vita ricca di significato e di soddisfazioni per sé e per chi ci sta vicino. Persone con una forte volontà sono capaci di fare del bene agli altri e a se stessi e perciò è di fondamentale importanza che fin dalla più tenera età si abbia particolare cura per l’educazione della volontà nei bambini. Se faremo attenzione a ciò daremo un contributo significativo alla risoluzione dei problemi che oggi affliggono il nostro tempo.

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