Simone Weil e il Cristo

Mai i suoi mal di testa erano stati così violenti come nel 1938. Lo furono particolarmente verso la fine dell’anno. Fu allora credo che, temendo di avere un tumore al cervello, andò a consultare uno specialista, il chirurgo Clovis Vincent. Mentre asepttava in anticamera disse ai suoi: «Se consiglia un’operazione, voglio che la si faccia il più presto possibile». Sua madre tentò un’obiezione. Simone la guardò e disse: «Vuoi dunque che io peggiori sempre più?». Temeva la follia più di ogni altra cosa al mondo. (…) Il consulto fu inutile: Clovis Vincent non trovò la causa del male e di conseguenza neppure il rimedio.

Nei momenti più dolorosi Simone recitava spesso Love, applicando a questa poesia tutta la sua attenzione e aderendo con tutta la sua anima alla tenerezza che vi è racchiusa.

    Amore mi diede il benvenuto; ma l’anima mia si ritrasse,

    Di polvere macchiata e di peccato.

    Ma Amore dal rapido sguardo, vedendomi esitante

    Sin dal mio primo entrare,

    Mi si fece vicino, dolcemente chiedendo

    Se di nulla mancassi.

 

    Di un ospite, io dissi, degno di essere qui.

    Amore disse: Quello sarai tu.

    Io, lo scortese e ingrato? O, amico mio,

    Non posso alzare lo sguardo su Te.

    Amore mi prese la mano e sorridendo rispose:

    E chi fece gli occhi se non io?

 

    E’ vero, Signore, ma li macchiai: se ne vada la mia vergogna

    Là dove merita andare.

    E non sai tu, disse Amore, chi portò questa colpa?

    Se è così, servirò, mio caro.

    Tu siederai, disse Amore, per gustare della mia carne.

    Così io sedetti e mangiai.

        [George Herbert, 1593-1633]

«Credevo di recitarla solo come una bella poesia, ma a mia insaputa quella recita aveva la virtù di una preghiera». Una volta, probabilmente a metà novembre, mentre la recitava, avvertì la presenza del Cristo: «Una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano» scriverà a Joë Bousquet. Non fu un’apparizione. Dirà a padre Perrin: «In quell’improvviso imperio del Cristo su di me, nè i sensi, nè l’immaginazione hanno avuto alcuna parte; ho solo sentito, attraverso la sofferenza, la presenza di un amore analogo a quello che si legge nel sorriso di un volto amato».

     Quanto questo avvenimento l’avesse sorpresa e quanto poco vi fosse preparata, lo dirà sia a padre Perrin che a Joë Bousquet (con me non ne parlò mai). «Nei miei ragionamenti sull’insolubilità del problema di Dio non avevo previsto la possibilità di un contatto reale, da persona a persona, quaggiù, fra un essere umano e Dio. Avevo vagamente sentito parlare di cose simili, ma non vi avevo mai creduto. Nei Fioretti i racconti di apparizioni mi infastidivano più di ogni altra cosa, come i miracoli nel Vangelo… Non avevo mai letto i mistici… Dio mi aveva misericordiosamente impedito di leggere i mistici, affinché mi fosse evidente che non l’avevo fabbricato io questo contatto del tutto inatteso».

    (Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi 1994, pag. 439-441)

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