23 settembre 1942 «Klaas, non si combina niente con l’odio, la realtà è ben diversa da come ce la costruiamo noi. Prendi quel nostro assistente. Lo vedo spesso nei miei pensieri. La cosa che più colpisce in lui è il suo collo diritto e rigido. Odia i suoi persecutori con un odio che suppongo sia giustificato. Ma anche lui è un uomo crudele. Sarebbe un perfetto capo di un campo di concentramento. L’osservavo spesso mentre stava all’ingresso, quasi fosse là per scacciare i suoi compagni ebrei scacciati, non era mai uno spettacolo molto consolante. Mi ricordo ancora il modo in cui aveva dato a un bambino di tre anni che piangeva due sporchi pezzi di liquirizia: glieli aveva buttati sulla tavola di legno dicendogli paternamente: sta’ attento a non sporcarti il muso. Ripensandoci credo si trattasse di goffaggine e di timidezza piuttosto che di malagrazia: semplicemente non riusciva a trovare il tono giusto. Ma era anche uno dei giuristi più brillanti in Olanda e i suoi articoli così intelligenti erano formulati alla perfezione. Ogni volta che lo vedevo girare tra la gente, con quel collo diritto, lo sguardo dispotico e la sua eterna pipetta, mi veniva da pensare: gli manca solo una frusta in mano, gli starebbe magnificamente bene. In certi momenti mi faceva una pena terribile. Aveva , una bocca così insoddisfatta, o meglio, così infelice: era la bocca di un bambino di tre anni che non è riuscito a imporsi a sua madre. Nel frattempo lui aveva passato la trentina, era diventato un bell’uomo, noto giurista e padre di due figli. Ma quella bocca da bambino insoddisfatto di tre anni gli era rimasta tale e quale, anche se naturalmente era diventata un po’ più grossa col passar del tempo. A guardarlo bene non era affatto attraente.
Vedi Klaas, quell’uomo era pieno di odio per quelli che potremmo chiamare i nostri carnefici, ma anche lui avrebbe potuto essere un perfetto carnefice e persecutore di uomini indifesi. Eppure mi faceva tanta pena. Non aveva mai contatti amichevoli con i suoi compagni, e se questo succedeva agli altri li guardava di sottecchi, con un’espressione così affamata (potevo vederlo e osservarlo in continuazione, in quel luogo si viveva senza muri). Più tardi un collega che lo conosceva da anni mi aveva raccontato alcuni particolari della sua vita. Nei primi giorni della guerra si era buttato in strada dal terzo piano, ma non era riuscita ad ammazzarsi, come doveva pur essere sua intenzione. in seguito ci aveva riprovato, questa volta sotto una macchina, ma anche questo tentativo era fallito. Poi aveva trascorso qualche mese in un istituto per malattie mentali. Era paura, tutta paura. Era un giurista così brillante e acuto e nelle discussioni accademiche aveva sempre l’ultima parola. Ma nel momento decisivo era saltato giù dalla finestra. Sua moglie doveva camminare per casa in punta di piedi e lui faceva delle scenate ai figli atterriti. Mi faceva tanta, tanta pena. Che vita è mai questa?
Klaas, volevo solo dire che abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi. E non ho neppure finito quando dico che anche fra noi esistono carnefici e persone malvagie. In fondo io non credo affatto nelle cosiddette “persone malvagie”. Vorrei poter raggiungere le paure di quell’uomo e scoprirne la causa, vorrei ricacciarlo nei suoi territori interiori, Klaas, è l’unica cosa che possiamo fare di questi tempi.
Allora tu Klaas hai fatto un gesto stanco e scoraggiato e hai detto: ma quel che vuoi tu richiede tanto tempo, e ce l’abbiamo forse? Ho risposto: ma a quel che vuoi tu si lavora d duemila anni della nostra era cristiana, senza contare le molte migliaia di anni in cui esisteva già un’umanità. E che cosa pensi del risultato, se la domanda è lecita? – hai detto tu.
E con la solita passione, anche se cominciavo a trovarmi noiosa perché finisco sempre per ripetere le stesse cose, ho detto: è proprio l’unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dovere distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitalee.
E tu Klaas, vecchio e arrabbiato militante di classe, hai replicato sorpreso e sconcertato insieme: sì, ma – ma questo sarebbe di nuovo cristianesimo!
E io , divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma: certo, cristianesimo – e perché poi no?»
(Etty Hillesum, Diario, Adelphi)