Una volta, quando i bambini dicevano «Voglio questo o voglio quello» si sentivano rispondere «L’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re». Oggi al contrario quando dicono per esempio «Voglio l’acqua», li si invita ad aggiungere le parole «per favore» per ottenere quello che desiderano. Capita così di sentire bambini che esclamano «Acqua per favore!» – senza neanche utilizzare il verbo “volere” – che vengono prontamente serviti, come se un tal modo di esprimersi fosse quanto di meglio un adulto può aspettarsi da un bambino.
Se ci si sofferma un poco a riflettere su questo fatto ci si può rendere conto che una simile dinamica contribuisce a formare nei bambini la convinzione che basti pronunciare il nome di ciò che si vuole (“acqua” o “pane” o altro ancora) per vedere soddisfatte le proprie esigenze, abituando-li ad un atteggiamento di comando che ha conseguenze indesiderabili.
La pacifica convivenza tra gli uomini si fonda sulla possibilità di agire liberamente nel pieno rispetto delle volontà altrui. Questo in altri termini significa rapportarsi agli altri imparando a chiedere o ad offrire loro ciò di cui si ha bisogno senza imposizioni né strumentalizzazioni di alcun genere. Quando, invece di chiedere, si sviluppa nei bambini l’abitudine a essere serviti senza porre alcuna domanda, si manifesta sempre in loro un atteggiamento dittatoriale, la cui conseguenza è quella di far scomparire l’ascolto, il rispetto, la gratitudine, la meraviglia in un’età in cui si acquisiscono abitudini sociali che si porteranno dietro tutta la vita e che sono tanto più difficili da modificare quanto più passano gli anni. Per questo motivo è di fondamentale importanza (oggi più che mai) insegnare ai bambini a chiedere le cose con proprietà di linguaggio e con cortesia, imparando anche a ricevere delle risposte negative quando le circostanze non permettono di ottenere ciò che si desidera.
Ci sarebbe poi anche da chiedersi in che relazione stiano questi fatti con l’idea oggi suggerita da tutta una certa cultura di massa secondo cui chiedere é segno di debolezza, e perciò sconveniente e vergognoso. “L’uomo che non deve chiedere mai” proposto dalla pubblicità di un famoso profumo ha qualche rapporto con il genitore che non è capace di insegnare al proprio figlio a dire “Mi passi un po’ di pane per favore”? Da cosa ci viene la confusione tra il dedicarsi all’infanzia con cognizione di causa e l’arrendevolezza che sottomette l’adulto al capriccio del bambino?
Vediamo così come il superamento della logica espressa dal motto “L’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re”, con la quale si mortificava la volontà infantile, ha lasciato oggi il campo a un nuovo errore pedagogico. Un’osservazione spassionata mostra che bambini a cui non è stato insegnato a chiedere con cortesia e in termini espliciti ciò che desiderano e che sono abituati ad essere soddisfatti all’affermazione imperiosa della loro volontà tendono a rivolgere l’attenzione solo a se stessi, considerando persone e cose in modo strumentale – forse proprio come la maggior parte degli adulti che hanno intorno oggi. Il problema in verità non è del bambino, ma dell’adulto che lo educa, in un’epoca in cui le relazioni umane sono fatte di sfruttamento e di strumentalizzazione anziché di comprensione e di aiuto reciproco. Tutto questo si esprime nel linguaggio che usiamo quotidianamente; dobbiamo perciò fare attenzione a quel che diciamo e alle abitudini di pensiero che creiamo nei bambini attraverso l’uso delle parole. La parola ha un potere straordinario ed è nostro compito farne uno strumento consapevole e responsabile nell’educazione dell’infanzia. Torniamo perciò a considerare dove cresca l’erba voglio e quanto sia importante che continui a crescere, affinché domani i nostri bambini abbiano una volontà forte e salda nel realizzare quanto ancora c’è da fare per rendere migliore questo nostro mondo.
Fabio Alessandri