Memorandum per una pedagogia elementare dell’azione
di Peter Guttenhöfer [1]
Sulla nostra bella Terra la natura è in pericolo. Piante e animali spariscono dal Pianeta e il disordine climatico è un argomento sulla bocca di tutti. C’è però anche qualcos’altro in pericolo: l’infanzia. In tutti i Paesi del mondo la pressione sui bambini si fa sempre più forte atttraverso una scolarizzazione sempre più precoce, l’apprendimento della lettura a tre anni, i programmi statali uniformati, l’inasprimento della concorrenza fra bambini, gli esami, un insegnamento intellettualizzato, poco movimento, nessuna arte, nessun gioco. Nelle case troviamo famiglie che vanno in pezzi, genitori stressati, disoccupazione, povertà, bambini lasciati soli davanti alla televisione e al computer. Anche i figli dei ricchi sono poveri!
Facciamo ciò che è più che mai necessario per preservare l’infanzia: regaliamo ai nostri bambini almeno dieci anni di infanzia. Così soltanto potranno avere, da adulti, sufficiente forza di fantasia per plasmare la vita sulla Terra in modo nuovo e meglio di noi. Ne va infatti della Terra, delle forze giovanili della Terra.
La scuola deve essere pensata a nuovo! Una scuola nella quale i bambini possano vivere, giocare e lavorare in modo che la loro naturale capacità di immaginazione possa trasformarsi in fantasia creatrice; nella quale possano vivere senza subire pressioni e senza paure, in modo che nell’apprendere siano felici e ne traggano salute.
- L’infanzia messa a rischio attraverso la scuola
La civilizzazione che muovendo dall’Europa occidentale ha afferrato negli ultimi secoli l’intera umanità è ostile all’infanzia. Lo mostra in tutta la sua acutezza la vita nelle città: in ogni movimento non sorvegliato che il bambino compie c’è il rischio della vita. È proibito giocare. L’unità di misura di tutte le cose è la libera realizzazione individuale dell’adulto nell’ambito delle condizioni materiali dell’esistenza terrena. Infanzia e vecchiaia non sono altro che pesanti, inevitabili effetti collaterali.
Dall’infanzia oggi si vuole trarre profitto. Ai primi segni di una capacità di rappresentazione, l’organizza-zione statale interviene con l’obbligo scolastico. In tutto il mondo è evidente la tendenza ad anticipare tale obbligo, fino a portarlo all’inizio del quinto anno di vita. Un calcolo economico costi-profitti governa i processi della formazione, sia riguardo all’organizzazione che ai contenuti. È risaputo che nella maggior parte dei Paesi del mondo i docenti sono sottopagati, così che all’infelicità dei bambini si aggiunge l’infelicità degli insegnanti. Ciò contribuisce al crearsi di quella antipatia di fondo che sussiste tra maestri ed allievi.
Il bambino viene considerato ancor sempre quale oggetto della socializzazione, non quale soggetto della propria autoeducazione. Non viene ancora riconosciuto quale portatore del proprio diritto a una libera educazione e a un libero sviluppo, bensì quale portatore del dovere di frequentare la scuola. In realtà il dovere è degli adulti nei suoi confronti; con la nascita il bambino acquisisce i propri diritti. La Convenzione dei Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, sottoscritta nel 1989 da quasi tutti gli Stati della Terra, è un’espressione di tale nuova coscienza; alla realizzazione degli ideali ivi formulati possiamo però avvicinarci soltanto se in tutta serietà riconosciamo ciò che disse Janusz Korczak: “Il bambino non diventa uomo soltanto da grande, egli è un uomo!”
L’attuale discussione sugli abusi di cui sono oggetto i bambini ha portato alla luce come nel singolo fenomeno venga alla superficie in tutta la sua bruttezza uno strato profondo dell’esistenza, nel quale la vita non purificata degli istinti e l’egoismo, insieme all’istinto fondamentale della civiltà moderna di doversi impossessare di ogni cosa, formano un miscuglio pericoloso. Gli effetti di tale strato profondo sono, tra gli altri, la pedagogia dispotica, lo stile degli edifici scolastici, l’ostilità nei confronti del movimento che si manifesta nella programmazione delle lezioni. In una parola: il normale svolgimento della «scuola».
Riconoscere il bambino quale soggetto della sua autoeducazione è piuttosto difficile, ma è un’idea che si sta facendo strada nell’umanità. È necessario un successivo passo nella trasformazione, la cui direzione risulta dalla seguente frase di Rudolf Steiner: “Ogni educazione è autoeducazione e come insegnanti ed educatori noi siamo in verità soltanto l’ambiente circostante del bambino che sta educando se stesso.” Configurare tale ambiente in modo corrispondente alle esigenze di uno sviluppo fecondo del bambino richiederebbe da parte degli adulti una profonda trasformazione delle loro abitudini di vita e di pensiero. La civiltà dovrebbe venire rimodellata dalle fondamenta.
Il punto di partenza è il seguente principio: maestro e bambino lavorano e imparano insieme. I bambini del giorno d’oggi non accettano più il predicatore noioso e altrettanto poco possono accettare, in virtù dei programmi di insegnamento e del loro svolgimento dentro un’aula, di venire isolati per giornate intere dalla vita vera e propria. Nel migliore dei casi – o nel peggiore – si sottomettono. A partire dai dodici anni cominciano a difendersi. I problemi che ne derivano vengono chiamati dagli educatori «problemi di disciplina». La verità è che il bambino per sua natura vuole essere attivo; le scuole però, così come sono oggi, impediscono ai bambini di essere attivi in modo produttivo.
La volontà del bambino è rivolta all’attività; insegnanti ed educatori pertanto devono far derivare da ciò il programma della loro individuale autoeducazione. La pedagogia Waldorf fondata da Rudolf Steiner si fonda in origine sul fatto che il maestro è una persona che apprende e non necessariamente un pedagogo specialista di formazione accademica. Oggi possiamo aggiungere: il maestro deve essere un lavoratore. In altri termini, perché mai le due categorie di persone che lavorano in modo produttivo, l’agricoltore e l’artigiano, oggi sono esclusi dal processo educativo? Il tipico insegnante di oggi è di fatto una persona che viene esonerata dal lavoro produttivo a spese della comunità, per potersi dedicare totalmente all’istruzione dei bambini. Anche i bambini stessi sono svincolati da qualsiasi lavoro, al fine di essere liberi per lo studio. Negli attuali Paesi benestanti del mondo tale situazione si deve protrarre idealmente fino al venticinquesimo o persino al trentesimo anno di età. Che le economie dei diversi paesi non possano sostenere una simile cosa diventa a poco a poco evidente. Che ciò contribuisca soprattutto alla rovina della Terra è però chiaro solo a pochi.
La scuola oggi è perciò il risultato del divenire della cultura centroeuropea degli ultimi 250 anni, che si è tradotto nella frantumazione dei processi vitali. Questa frantumazione si mostra particolarmente dolorosa nel fatto che lavoro e apprendimento, gioco e lavoro, artigianato e formazione, infanzia e società industriale, civilizzazione urbana e cultura rurale si sono completamente separati. La scuola oggi è un luogo dove il bambino viene estraniato dalla vita. Le sue proposte sono artificiose e la cosiddetta «motivazione» degli allievi spesso non è altro che la coercizione che deriva loro dagli esami e dai titoli ad essi collegati. Tutto ciò è ostile all’infanzia, poiché il bambino è un essere del presente, che sperimenta il senso della sua esistenza direttamente in modo spirituale-sensibile e non lo ricava da un futuro immaginato, né da una qualche rappresentazione relativa all’acquisizione di competenze.
- Trasformazione della scuola
Come dev’essere dunque la scuola, se vuole presentare un ambiente adeguato al bambino di oggi? Novalis ha indicato la direzione nel suo Frammento «Pädagogik»:
“L’educazione dei bambini, così come la formazione di un apprendista, non avviene per educazione diretta, ma nel lasciarli partecipare gradualmente alle occupazioni degli adulti.”
Gli adulti che educano devono essere occupati in un lavoro! Non però nell’educazione diretta dei bambini, ma in quelle attività che stanno a fondamento della vita e che la plasmano. Ad esse appartengono naturalmente anche lo scrivere, il leggere, il far di conto e il cantare. E come impara l’«apprendista»? Nel primo settennio tramite l’imitazione, nel secondo tramite il fare seguendo un modello. Con ciò sorgono immagini di adulti impegnati in attività sensate che vale la pena di imitare e che possono concretamente essere imitati e presi a modello, perché si manifestano in attività visibili e in movimenti delle braccia e delle gambe guidati dalla ragione. E il genio del bambino, che vive nell’ambito di tale attività, consiste nel portare avanti la propria autoeducazione attraverso l’imitazione e il fare seguendo un modello. Tutto questo noi lo chiamiamo gioco.
Le occupazioni che si possono imitare si trovano soprattutto nell’agricoltura e nel giardinaggio, nell’artigianato e nell’economia domestica, vale a dire in quegli ambiti nei quali, per mezzo della trasformazione della sostanza, vengono prodotti i generi di prima necessità; occupazioni che sfortunatamente non sono entrate in quel campo educativo che ha nome «scuola». Rudolf Steiner ha già fatto un primo passo, introducendoli nello spazio pedagogico; questo costituisce oggi una delle caratteristiche della pedagogia Waldorf. E l’umanità attuale, proprio in tali ambiti, sta prendendo sempre più coscienza del fatto che la concezione riduzionistica del mondo e il tendere egoisticamente al profitto conducono alla distruzione dei fondamenti della vita. Si può riconoscere ciò dagli effetti catastrofici che l’agricoltura industrializzata ha sui terreni e sui paesaggi, sulle api, sulla qualità degli alimenti e così via; ce lo mostrano la sofferenza degli animali, il morire dei boschi.
La distruzione dell’ecosistema e i pericoli derivanti dai mutamenti climatici oggi ci risvegliano ed esigono un nuovo modo di agire. Qui le idee convergono: gli adulti si volgono nuovamente alla Terra, smettono di rincorrere il profitto e non seguono più un comportamento animalesco di massa; l’attenzione nei riguardi degli altri esseri viventi, disposti a servirci, diventa per loro una guida all’azione. E nel far questo portano con sé i bambini! Non li escludono chiudendoli negli asili, nei nidi, nelle scuole, ma lavorano con loro, mentre i piccoli giocano e i più grandi “partecipano poco alla volta alle occupazioni degli adulti”, come ha scritto Novalis. Allora sentiamo il bisogno di un nuovo «curriculum»; immaginiamo una nuova valutazione delle materie, divise in materie principali e secondarie, così che le «vacche sacre» universalmente riconosciute della corretta padronanza della lingua madre, della letteratura nazionale e della matematica vengano poste allo stesso livello di nuove materie principali quali il giardinaggio e l’artigianato.
Luogo ideale per un simile ambiente dedicato all’educazione sarebbe ovviamente il villaggio agricolo. È naturale che esso dovrebbe in ogni caso venire radicalmente rimodellato e configurato a nuovo, se deve rappresentare un «ambiente completo» (Goethe, La provincia pedagogica) per il bambino che educa se stesso e al contempo nutrire le persone che vivono e lavorano in esso [2]. Non si intende con ciò la «fattoria scolastica», ma una comunità di persone che lavorano, le quali per mezzo della coltivazione agricola biodinamica vogliono dedicarsi alla riconquista delle forze giovanili della Terra. Non dobbiamo dunque lavorare per l’educazione diretta del bambino, che Novalis sconsiglia, ma per coinvolgerlo in un ambiente quotidiano pieno di attività, permettendogli di partecipare alla corrente di volontà degli adulti. Anche l’aula scolastica fa parte di questo ambiente, ma in forma modificata. Spazi esterni ed interni formano insieme un ambiente completo. Come ciò possa venire allestito nei particolari dipende da innumerevoli condizioni particolari e non può perciò venire discusso in questa sede.
È chiaro che in questo scritto si può solo accennare alla direzione in cui bisognerebbe immaginare e perseguire tale ideale. Sarebbe però un’espressione di cecità nei confronti della realtà pensare che l’agricoltura biodinamica possa salvare anche la pedagogia. Due pensieri ci conducono avanti:
1. La fattoria sarebbe certo un ambiente ideale, ma non è condizione necessaria. La scuola infatti si è sviluppata anzitutto in ambienti cittadini e perciò deve essenzialmente venir trasformata all’interno della civiltà cittadina. Quest’ultima però, come si è detto, deve essere del tutto riformata, e questo può riuscire solo attraverso un genere completamente nuovo di educazione dei bambini e certamente solo con un processo della durata di decenni, se non addirittura di secoli.
2. Nelle attuali condizioni politiche, sociali e culturali della maggior parte degli Stati della Terra, si può pensare a un cambiamento efficace del paradigma pedagogico solo se si è disposti a immaginare su scala ridotta la trasformazione della scuola in un luogo di apprendimento nel quale i bambini possano sviluppare crescendo la voglia di lavorare per un futuro migliore.
- Piccolo è bello (Small is Beautiful)
Ciò che il bambino apprende nei suoi primi anni e il modo in cui lo apprende sono di particolare importanza per dar forma al corso della vita. Nel presente scritto vogliamo tralasciare considerazioni sui primi tre anni di vita poiché auguriamo ad ogni bambino sulla Terra di poter crescere almeno in quel primo periodo fra le cure di una famiglia. Che centinaia di migliaia di bambini vedano insoddisfatto questo loro desiderio costituisce un problema che in questa sede non può venire trattato. Qui si tratta di elaborare l’immagine di un luogo di apprendimento nel quale il bambino possa vivere, imparare e prosperare in quel periodo della sua vita che va dai quattro ai dieci anni; lo schizzo di una scuola nella quale il periodo di tre anni di asilo e quattro di scuola formino un continuum di sette anni. Alla fine di questa fase di sviluppo il bambino ha raggiunto uno stadio nel quale, nel senso della moderna ricerca in ambito di salutogenesi, dispone di un elementare «equipaggiamento di base», formato dalle facoltà della coerenza (essere animicamente collegati con il mondo) e della resilienza (forza di rispondere affermativamente agli ostacoli e di padroneggiarli). Questo punto dello sviluppo infantile viene indicato nell’antropologia antroposofica con l’immagine del «Rubicone», riferendosi al fatto che il bambino ha per così dire edificato la propria individuale salute biologica, animica e spirituale, che sarà per lui una sorgente di forze per superare le crisi degli anni seguenti e della vita in genere.
Se dunque il bambino, almeno fino al momento che abbiamo qui caratterizzato, si sviluppa in un’atmosfera che rende possibile il “libero dispiegamento della sua personalità” – come richiedono le dichiarazioni dei diritti dell’infanzia dei paesi democratici –, si troverà poi equipaggiato per le sfide future. Nel periodo che abbraccia i tre anni di asilo e i quattro anni di scuola i processi di apprendimento non devono ancora venire regolati da norme di prestazione dettate dallo Stato; ci si può immaginare che i bambini, mediante una preparazione adeguata, raggiunto il quarto anno scolastico vengano resi idonei alle norme statali, per quel che riguarda le loro capacità di apprendimento, così che siano in grado di passare a una qualsiasi altra scuola possibilmente senza problemi[3]. In questo modo anche i primi tre anni del periodo scolastico, come i tre che precedono la scuola, potrebbero venire configurati in modo del tutto libero.
Il periodo di sette anni che prendiamo in considerazione in questo contesto dovrebbe dunque venire strutturato del tutto secondo prospettive pedagogiche e di psicologia dello sviluppo. In particolare nella fase di passaggio dall’asilo alla scuola possono venire prese in considerazione caratteristiche individuali dello sviluppo di singoli bambini. Si verrebbe così a creare una struttura per mezzo della quale i problemi della scolarizzazione precoce, verso cui c’è in tutto il mondo una forte spinta, possano venire almeno un po’ mitigati. L’obbligo scolastico richiesto verrebbe così soddisfatto, ma i provvedimenti pedagogici nel singolo caso si potrebbero determinare liberamente.
In molti luoghi della Terra, dove le condizioni sociali, economiche o culturali non sono favorevoli alla creazione di un sistema scolastico statale articolato in elementari, medie e superiori, queste piccole «scuole» si potrebbero allestire con mezzi relativamente esigui; non tutti gli insegnanti e gli educatori dovrebbero avere una formazione accademica. In parte sarebbero anzi necessarie competenze del tutto diverse da quelle che si acquisiscono nelle università e nei seminari di formazione degli insegnanti. Non bisogna pensare a edifici scolastici costosi, né a un grande collegio docenti che si sfinisce con conflitti e dinamiche di gruppo caratteristiche del nostro tempo. La gestione economica, l’organizzazione e l’amministrazione potrebbero essere trasparenti e comprensibili. In breve: “Piccolo è bello” – secondo il titolo del libro di E.F. Schumacher (Small is beautiful) pubblicato nel 1973 e famoso in tutto il mondo.
In alcuni paesi – soprattutto dell’emisfero meridionale – l’attuale politica della formazione non fa che proseguire ciò che fece il colonialismo, oggi ritenuto superato: impiantare il modo di pensare e di vivere europeo/americano nelle anime giovani di popoli che, se di fatto sono liberi politicamente, spesso sono gravemente scossi nella loro identità. Le elite di quei popoli mandano i loro figli alle scuole internazionali, oppure nei collegi dei loro ex «padroni»; le scuole elementari invece vengono allestite in modo del tutto insufficiente e spesso determinano i contenuti del loro insegnamento secondo programmi scolastici europei i quali – come è risaputo – vengono determinati nel senso di una concezione del mondo che è allo stesso tempo lontana dalla moderna conoscenza scientifica, quanto dal vivente patrimonio di saggezza tradizionale ancora presente nelle culture dei diversi popoli. È possibile dare un contributo alla conquista di una nuova identità solo per mezzo della riflessione sulle proprie radici culturali e religiose, sulla propria lingua, sul paesaggio circostante e così via. Nelle condizioni attuali però una simile cosa si può immaginare solo per i primi anni di scuola, se si vuole evitare di entrare in conflitto aperto con le autorità responsabili dell’educazione nei diversi paesi. Negli anni della scuola superiore infatti l’obiettivo diventa sempre di più l’adeguamento degli allievi al sistema sociale dominante, all’interno del quale essi devono crescere. Di ciò si devono preoccupare le autorità statali. Anche questi pensieri contribuiscono a farci immaginare una scuola di piccole dimensioni.
- Scuola di Base (Basic School)
Nell’arco dei sette anni considerati si tratta perciò di rendere possibile l’infanzia, edificare la salute individuale, gettare le basi per una formazione generale ed esercitarsi in un lavoro. La pedagogia Waldorf, che da novant’anni anni va diffondendosi su tutto il pianeta, lavora per rendere possibile l’assunzione di tale compito a partire da presupposti antropologici e metodologici fondati sulla visione antroposofica dell’essere umano di Rudolf Steiner. In essa, accanto allo sviluppo dell’intelligenza e alla cura per l’animo del bambino, viene dedicata particolare attenzione alla formazione della sua volontà. Nel senso della pedagogia elementare dell’azione qui esposta va fatto notare che anche le scuole Waldorf hanno bisogno di un ulteriore sviluppo. Se ci domandiamo quali sono le necessità dei bambini e ci chiediamo di cosa dovranno essere capaci fra trent’anni, veniamo rimandati ai compiti indicati al punto 2.
Modificare i contenuti delle lezioni e i metodi in vigore nelle scuole medie e superiori si scontra con le difficoltà accennate. Ciò che è possibile modificare da subito sono invece i primi quattro anni di scuola e il periodo dell’asilo.
Tutta la bellezza e la profondità della pedagogia Waldorf si dispiegano già nei primi quattro anni di scuola: gioco e lavoro fluiscono l’uno nell’altro; i contenuti del mondo si manifestano in immagini; bambini e maestro lavorano insieme alla formazione di una comunità di destino, nella quale non domina la concorrenza, ma ci si esercita a prestarsi vicendevolmente aiuto. In sesta classe (a dodici anni) il rapporto del bambino con il mondo e con le altre persone cambia costituzionalmente e si presentano nuovi problemi. La Scuola di Base potrebbe venire prolungata anche fino alla quinta classe, secondo le condizioni e le possibilità legate di volta in volta ai luoghi e alle persone. Per il lavoro a partire dal sesto anno di scuola verrebbero invece determinate linee guida didattiche e metodologiche completamente nuove. A partire da queste considerazioni la Scuola di Base viene pensata in un arco di quattro-cinque anni, che insieme ai tre anni precedenti di asilo costituiscono un percorso complessivo di sette-otto anni.
Abbiamo così descritto una forma di «scuola minima», che rappresenta un’offerta pedagogica completa per i bambini tra i quattro e i dieci anni. Non si tratta di un frammento di una scuola vera e propria, né «semplicemente» dell’istruzione elementare, ma di un’iniziativa in sé compiuta, vale a dire della realizzazione di un luogo di apprendimento per bambini dell’età indicata, che richiede un impiego di forze e di capitali relativamente esiguo.
La responsabilità di un ulteriore percorso formativo del singolo bambino è solo nelle mani di coloro che ne forniscono i mezzi. Per poter pensare a tale forma di Scuola di Base si deve abbandonare l’idea portata avanti dalle scuole Waldorf di un percorso di dodici anni e domandarsi quali forze e competenze si abbiano a disposizione per affrontare la crisi che investe oggi l’infanzia. Le piccole scuole qui descritte potranno essere i germi per luoghi d’apprendimento completamente nuovi, per la cui rappresentazione dettagliata ci manca oggi la fantasia. Ciò che vogliamo fare è creare isole di salvataggio per l’infanzia e per la capacità di fantasia dell’umanità.
[1] Traduzione di Adele Crippa rIveduta da Fabio Alessandri
[2] Un simile rimodellamento dell’agricoltura, nuovo e radicale, in riferimento alla sana alimentazione, alla sostenibilità ecologica, alla proprietà privata dei terreni, alla tecnicizzazione, alle forme di mercato, è già stato iniziato grazie al movimento dell’agricoltura biodinamica diffuso in tutto il mondo. L’aspirazione a forme di comunità adatte ai tempi trova la sua espressione, fra altre, nella CSA (Community Supported Agricolture).
[3] In molti Paesi c’è persino la possibilità dell’ «home schooling» (educazione parentale) per il periodo della scuola elementare.