La vita interiore dell’insegnante

di Renè Querido

(Articolo tratto da www.rudolfsteiner.it)

Ci si interroga spesso sulla differenza tra la pedagogia Waldorf e gli altri tipi di pedagogia. La questione è vasta e si possono dare le seguenti indicazioni: l’importanza del maestro di classe che accompagna la classe per i primi otto anni della scuola e che vi insegna le principali materie scientifiche e umanistiche; l’approccio “ad epoche” che fa sì che una materia particolare costituisca per più settimane la base di ogni lezione principale del mattino; l’ampio programma organizzato in funzione degli stadi di sviluppo degli allievi; l’incoraggiamento delle attività artistiche in quanto mezzo per rivelare le capacità dei bambini; l’aspirazione a sviluppare il bambino nella sua totalità e a pervenire ad uno sviluppo equilibrato “della mano, del cuore e della testa”. Questo elenco non mette l’accento sulla differenza essenziale.
Gli insegnanti Waldorf, grazie allo studio degli insegnamenti di base dell’antroposofia – come sono stati dati da Rudolf Steiner (1861-1925) -, riconoscono che il lavoro interiore, spirituale, è una fonte necessaria di ispirazione per il lavoro svolto in classe. Prendiamo qualche esempio per chiarire come l’attività interiore del cammino di meditazione possa portare i suoi frutti nella vita quotidiana; si possono, per esempio, scegliere parole e immagini (non necessariamente una poesia) per rafforzare collettivamente il lavoro di insegnanti. In molte scuole Waldorf alcuni insegnanti si riuniscono la mattina prima dell’arrivo dei bambini per cantare e/o recitare una poesia. La poesia aiuta a creare l’atmosfera della giornata, e permette di centrare gli scopi verso i quali noi tutti tendiamo. Si utilizzano generalmente poesie che furono date da Rudolf Steiner ai maestri della prima scuola Waldorf a Stoccarda.
“Abbiamo la volontà di lavorare Lasciando che si riversi nel nostro lavoro Ciò che, provenendo dal mondo spirituale, Cerca di diventare umano in noi, in un modo animicamente spirituale e corporalmente vivente”.
Soffermiamoci un attimo su queste parole. Siamo noi che, come insegnanti, cerchiamo di lavorare insieme in modo che lo spirito possa penetrare in ciò che cerchiamo di fare con i bambini. Si può sicuramente obiettare che siamo già “umani”. Perché allora il bisogno “di diventare umani”? In quanto esseri umani non siamo prodotti finiti. Ogni persona porta individualmente in sé un enorme potenziale, molto più grande di quello visibile in qualsiasi momento. Quando si lavora con i bambini, è particolarmente importante portare l’aspetto del divenire in ogni disposizione personale.
Come insegnanti, abbiamo bisogno di aiutare i bambini a divenire, ad andare al di là di ciò che sono in qualsiasi momento particolare del loro sviluppo. Assumendoci questo compito dobbiamo, in quanto insegnanti, favorire l’unione delle due correnti: quella animico-spirituale (legata all’individualità eterna di ogni persona, bambino e adulto) e quella corporale-vivente (che rappresenta le forze terrestri, ereditarie di cui siamo tutti una parte). Queste parole piene di forza sono capaci, quando vengono meditate individualmente da un insegnante – e anche quando sono recitate collettivamente all’inizio della giornata -, di trasformare e nobilitare il nostro atteggiamento di educatori. Di fatto, un buon insegnamento dipende in gran parte dal nostro atteggiamento di educatori.
Permettetemi di darvi un altro esempio che possiede ancor più il carattere di una meditazione personale. Rudolf Steiner vi si è riferito come all’ABC dell’insegnante. Si può esprimere brevemente tramite questi tre atteggiamenti dello spirito: devozione, entusiasmo, senso di protezione. Che cosa significa? La devozione si rivolge a ciò che il bambino porta come un dono della propria personalità dalla sua vita prenatale. Nessun bambino è una tabula rasa, ma porta con sé – secondo l’immagine di Wordsworth – “nuvole di gloria”. Questi doni e talenti si offrono come l’essenza dell’individualità del bambino e chiedono di essere ricevuti con devozione e riverenza. Noi, insegnanti e genitori, dovremmo mantenere presente allo spirito che il bambino può essere molto più “avanzato” di noi. Ed è veramente utile ricordare che non c’è bisogno di essere un genio per insegnare ad un genio. Il nostro compito è permettere al bambino di rivelarsi a se stesso – un compito che riflette il profondo significato della parola pedagogia. Entusiasmo è una parola significativa. In italiano, inglese e francese contiene “theo”, che significa “Dio”. La corrispondente parola tedesca “Begeisterung” ha in sé “Geist”, che significa “spirito”.
Abbiamo bisogno di imparare a insegnare con entusiasmo. Tutto ciò che facciamo con i bambini, nel corso degli anni, deve essere pieno di spirito e di senso del divino. Viviamo in un’epoca di nichilismo spaventoso, in cui i valori sono calpestati. Una assenza di visione del futuro e dunque la disperazione si sono imposte a molti giovani un po’ ovunque sulla terra. Ma fondamentalmente ogni bambino, malgrado la difficoltà delle circostanze, porta una qualità di pieno sole nella vita. Speranza e vitalità sono i temi della prima infanzia. Ma troppo spesso nuvole scure si ammassano e il giovane, pieno di disperazione, si trova di fronte il precipizio del proprio essere e le oscure situazioni della vita circostante. Tocca a noi, insegnanti – e genitori -, portare forze di entusiasmo affinché il giovane possa percepire che la sua scintilla innata d’idealismo è veramente qualcosa di reale che può essere accesa. Qui si tratta di nuovo di una questione di atteggiamento. Questo dipende dal nostro modo di insegnare. Quali facoltà emergono dalle discipline come la storia e la geografia? Quali tesori nascosti possono essere aperti dalla matematica e dalla musica? Questo si basa più sul come che sul che cosa.. Un insegnante perseverante può ravvivare sempre più la scintilla dell’entusiasmo nei suoi allievi e così dar loro l’impulso per fare lo sforzo di applicarsi e di trovare forze per superare gli ostacoli. “Molti problemi sociali che conosciamo attualmente potrebbero essere risolti se genitori e insegnanti fossero capaci, nella loro ricerca di valori, di proteggere i giovani attraverso una saggezza così acquisita”. Ma che cosa è dunque un senso di protezione?
I bambini hanno bisogno della protezione degli adulti nei diversi stadi del loro sviluppo. Solo una forma fallace di educazione può auspicare che si lasci condividere a un bambino di 6-7 anni i problemi della nostra vita di adulti. Il giovane ha bisogno di essere attentamente protetto fino al periodo dell’adolescenza quando il suo orizzonte può allargarsi ed egli può cominciare a capire quel che succede. Tuttavia, anche alcuni adolescenti non dovrebbero essere lasciati senza una protezione intelligente, in accordo con la loro età. Tentazioni che tirano l’essere umano verso il basso, più in basso della sua dignità, sono in agguato ad ogni svolta. Il modo in cui i giovani se la cavano di fronte alla droga, all’alcool e ad altre forme di permissivismo dipende molto dai genitori e dagli insegnanti. In realtà, quel che essi chiedono è un adeguato orientamento. Ci si può certo chiedere perché un insegnante Waldorf dovrebbe impegnarsi a praticare la meditazione in maniera rigorosa, quotidiana e regolare. Prima di tutto è per rispondere meglio ai bisogni degli alunni che gli sono affidati. La meditazione aiuta ciascuno ad acquisire una più grande penetrazione dei bisogni dei bambini, nei diversi stadi del loro sviluppo e dell’adeguamento del programma. La meditazione è soprattutto un cammino per diventare più tolleranti, più comprensivi e più perspicaci, in altre parole: un insegnante migliore. Ma l’effetto non si fa sentire solo in classe. L’insegnante Waldorf lavora intensamente anche con i suoi colleghi e con i genitori e nell’ambito di una grande comunità. Grazie alla meditazione sviluppa atteggiamenti che l’aiutano in tutti questi rapporti. E sono sia l’insegnante sia la scuola a beneficiarne. I sei esercizi di meditazione di base proposti da Rudolf Steiner possono rivelarsi molto utili.
Se in una scuola tutti gli insegnanti li praticano, il lavoro scolastico può risultarne enormemente rafforzato. Quanto agli esercizi, sono tutti legati all’armonizzazione delle forze dell’anima, delle forze, cioè, del pensiero, del sentimento e della volontà. Presentati in modo dettagliato ne “L’iniziazione. Come acquisire conoscenze sui mondi superiori” e ne “La scienza occulta” (2) di Rudolf Steiner, sono i seguenti:
– Il primo esercizio consiste nel concentrarsi quotidianamente in un lasso di tempo privilegiato su un oggetto semplice e banale, una matita ad esempio, tenendo fuori tutti i pensieri che gli sono estranei. In questo modo, si ottiene il controllo del pensiero e si dominano le associazioni di pensiero, più o meno frutto del caso, e comuni a noi tutti.
– Il secondo esercizio consiste nel compiere un atto particolare ogni giorno allo stesso momento. Chiarifica e rafforza la volontà, e controlla la nostra tendenza ad essere dominati a caso dagli impulsi generati da circostanze esterne.
– Il terzo esercizio mira al controllo delle proprie reazioni emozionali di fronte agli avvenimenti esterni, sviluppando allo stesso tempo la serenità interiore. Si tende ad uno stato mediano armonioso, privo di eccitabilità da una parte, di freddezza o di indifferenza dall’altra. Ci si lascia toccare meno dagli alti e bassi delle proprie emozioni.
– Il quarto esercizio mira a praticare la positività, trovando sempre ciò che è buono e fruttuoso in qualunque situazione della vita. Si impara a controllare la mania tutta moderna di criticare.
– Il quinto esercizio consiste nello sviluppare un atteggiamento aperto e spregiudicato nei confronti degli esseri umani e del mondo intero. Si impara a controllare pregiudizi e visione rigida delle cose.
– Il sesto esercizio chiede di armonizzare questi cinque atteggiamenti perché diventino a poco a poco parte integrante della propria vita. Secondo Rudolf Steiner, questi sei esercizi sono fondamentali per la vita meditativa e dovrebbero precedere ogni altro lavoro interiore. Dice anche che sono particolarmente adatti agli insegnanti per imparare a lavorare armoniosamente insieme. Può rivelarsi difficile praticare questi esercizi regolarmente e la loro pratica può dare risultati solo lentamente. Non riducono nemmeno il tempo necessario all’insegnante per preparare le sue lezioni. Ma possono aiutare ciascuno di noi ad affrontare le sfide e gli ostacoli che presentano l’insegnamento e la vita. E possono migliorare nell’insieme le nostre qualità di vita e di lavoro.
In conclusione, vorrei citare i quattro principi che Rudolf Steiner, nella sua conferenza del 6 settembre 1919, ha presentato ai primi dodici maestri della prima scuola Waldorf a Stoccarda (4).
Concludevano un breve ma intenso periodo di formazione e parlavano dell’inizio dell’insegnamento. Questi precetti possono anche essere considerati come profonde massime di meditazione .
1 – L’insegnante dev’essere una persona di iniziativa in tutto quello che intraprende di grande o di piccolo.
2- L’insegnante dovrebbe interessarsi a ciò che sono il mondo intero e l’umanità.
3- Bisogna che l’insegnante non transiga, né nel suo cuore né nel suo spirito, con ciò che è sbagliato.
4- Bisogna che l’insegnante non diventi mai atono, né coltivi l’amarezza, ma che prediliga piuttosto un clima dell’anima fresco e sano. Oggi, in tutte le parti del mondo, la pedagogia ha perso il senso dei veri valori e la comprensione dei reali bisogni dei bambini.
Agli occhi di Rudolf Steiner il compito dell’insegnante Waldorf è quello di contribuire alla guarigione della vita educativa moderna. Questi quattro precetti, del tutto validi anche oggi come lo erano quasi 80 anni fa, indicano l’ideale elevato al quale l’insegnante Waldorf deve tendere perché questo compito possa essere realizzato.

Note:
(1) – Pubblicato su Tournant n° 20, luglio 1993.
(2) – “L’iniziazione“, Editrice Antroposofica Milano, 1995;
La Scienza Occulta“, Editrice Antroposofica Milano, 1992.
(3) “Arte dell’Educazione”, vol. II, “Didattica”, Editrice Antroposofica Milano.

René Querido è una figura internazionale della pedagogia Waldorf e del movimento antroposofico. Nato in Olanda, ma con sangue portoghese e cittadinanza britannica, ha studiato in Francia e a Londra, dove ha conseguito all’Imperial College una laurea in Scienze.
A 23 anni è diventato insegnante di Francese alla più antica scuola Waldorf d’Inghilterra, la Michaël Halle. Da allora, per oltre 44 anni, Querido si è occupato della pedagogia Waldorf come insegnante, formatore di insegnanti, autore e conferenziere.
E’ stato uno dei fondatori del Collegio Rudolf Steiner a Sacramento, California, di cui è stato direttore per 14 anni.
E’ attualmente Segretario Generale della Società Antroposofica in America.
Le sue numerose pubblicazioni comprendono “Creativity in education”; “The mistery of the Holy Grail: a Path of Modern Initiation”; “The Golden Age of Chartres”; “Teachings of the mysteries and the eternal Feminin “.

Siamo tutti chiaroveggenti?

«Nessun uomo potrebbe davvero giungere alla chiaroveggenza se non avesse già nell’anima un briciolo di chiaroveggenza. Se fosse vera la credenza generalmente diffusa che gli uomini, così come sono, non siano chiaroveggenti, allora non potrebbero mai diventarlo. Poiché come l’alchimista sostiene che si deve avere un pochino di oro per poterne produrre alchemicamente una grande quantità, così si deve essere già un po’chiaroveggenti, perché questa chiaroveggenza possa svilupparsi sempre più andando oltre ogni limite.

Ora voi potreste considerare due possibilità e chiedere: credi che noi siamo già chiaroveggenti, anche se in misura minima, oppure che quelli tra di noi che non sono chiaroveggenti non potranno mai diventarlo? Vedete, di questo si tratta, cioè che la prima possibilità è quella giusta. Non c’è davvero nessuno di voi che non abbia in sé questo punto di partenza, anche se non ne è cosciente. Ce l’avete tutti. Nessuno di voi è privo di questo, tutti avete un certo quid di chiaroveggenza. E che cos’è questo quid? È qualcosa che normalmente non viene affatto stimata come chiaroveggenza.

Perdonatemi un paragone piuttosto rozzo. Se per terra c’è una perla e un pollo la trova, il pollo non la ritiene importante. Gli uomini moderni sono per lo più simili a quel pollo. Non ritengono affatto importante la perla che hanno di fronte, ma danno importanza a qualcosa d’altro, alle loro rappresentazioni. Nessuno potrebbe pensare in modo astratto, avere davvero pensieri e idee, se non fosse chiaroveggente, poiché nei pensieri e nelle idee comuni si trova appunto fin dall’inizio la perla della chiaroveggenza. Questi pensieri e queste idee si generano proprio grazie allo stesso processo grazie al quale si generano le forze più elevate. Ed è straordinariamente importante che si impari a comprendere anzitutto che l’inizio della chiaroveggenza in realtà è qualcosa che appartiene alla nostra quotidianità. Bisogna solo afferrare la natura soprasensibile dei concetti e delle idee. Ci si deve chiarire che concetti e idee ci vengono dai mondi soprasensibili, solo allora si vede giustamente la cosa. Quando io vi racconto degli spiriti delle gerarchie superiori, dei Serafini, dei Cherubini, dei Troni giù giù fino agli Arcangeli e agli Angeli, queste sono entità che devono parlare all’anima dell’essere umano da mondi spirituali superiori. Appunto da questi mondi vengono all’anima umana le idee e i concetti, penetrano nell’anima da mondi superiori e non dal mondo dei sensi.

Un grande personaggio illuminato del diciottesimo secolo ha formulato un pensiero ardito che dice: “Oh Uomo, abbi il coraggio di servirti della tua ragione!” Oggi nell’anima deve risuonare un pensiero ancora più grande: “Oh Uomo, abbi il coraggio di considerare i tuoi concetti e le tue idee come gli inizi della chiaroveggenza!” Ciò che io ho ora espresso, l’ho detto molti anni fa del tutto apertamente nei miei libri Verità e scienza e La filosofia della libertà, nei quali ho mostrato che le idee umane vengono dal conoscere spirituale soprasensibile. Allora però non lo si  è compreso e non c’è neanche da meravigliarsi, poiché quelli che avrebbero dovuto capirlo facevano parte dei polli.» (Rudolf Steiner, I fondamenti occulti della Bhagavadgita)

Milon e il leone

(stampato in proprio)

Capitolo primo

LA PARTENZA DA ATENE

   Il sole al tramonto stendeva i suoi ultimi raggi sulla città di Atene, fino ai templi chiari sulla collina dell’Acropoli. Un giovane ragazzo si affrettava per i viottoli. Arrivato nei pressi di una grande proprietà si fermò e si mise a battere col pugno contro il portale in legno. Si sentirono dei passi affrettati, e una voce di donna domandò:

«Chi sei, cosa vuoi?»

«Sono io, Tyrios! Aprimi, Agaja!»

La porta cigolò. Il ragazzo si trovò di fronte alla vecchia serva che lo guardò divertita:

«Sei così di fretta? Ancora un po’ e sfondavi la porta. Se tu avessi lo stesso slancio anche al lavoro…»

«Dov’è Milon? Bisogna che gli parli di una notizia importante. So dove ci stanno portando.»

La vecchia donna fece un segno  verso il lato del giardino.

«Sta raccogliendo l’uva. Ma dimmi, cosa hai saputo?»

Il ragazzo non ascoltò neppure la fine della domanda; aveva fretta di raccontare la notizia al suo amico: stavano lasciando la città per sempre. Lo trovò nella vigna, dove raccoglieva i primi grappoli d’uva maturi che deponeva con cura in un cesto. Milon aveva la stessa età di Tyrios ed era uno schiavo come lui. I suoi capelli biondi e disordinati gli davano un’espressione selvaggia, ma il suo viso aveva lineamenti fini.

«Milon, ci imbarchiamo per Roma! Ho dovuto caricare su una nave i pacchi che trasportavo al porto del Pireo. Già domani spiegherà le vele verso la grande città romana. È un grosso battello che deve trasportare un carico prezioso, perché delle guardie mi hanno impedito di passare sul ponte di prua.»

Tyrios si fermò per respirare profondamente. Aveva corso e aveva dato la notizia all’amico in fretta, così che ora gli mancava completamente il fiato. Milon gli offrì un grande grappolo d’uva e domandò esitante:

«Allora questa notte dormiremo per l’ultima volta ad Atene?»

Tyrios annuì. Gli dispiaceva che Milon non condividesse la sua gioia. Entrambi tacquero un istante. Tyrios prese un altro acino e ne succhiò avidamente il succo; aveva la gola tutta secca. Milon era sconvolto da quello che aveva appena appreso, ma non lasciò trasparire nulla. Senza dire una parola volse lo sguardo oltre il muro del giardino, verso la collina dell’Acropoli, dove il sole faceva splendere il marmo chiaro dei templi.

Dopo un momento di silenzio, riuscì a chiedere:

«Tyrios, potresti riempire questo cesto di uva e portarlo ad Agaja da parte mia? Bisogna che io salga un’ultima volta ai templi dell’Acropoli per prendere congedo da Alkides e da Atene.»

«Allora, non sei felice di lasciare queste vecchie donne capricciose che proviamo ad accontentare dalla mattina alla sera? Oh! Milon, saremo presto su di un battello, in viaggio per scoprire il mondo! Il mercante ha detto che a Roma andremo a servire nella dimora di una nobile famiglia.»

«Puoi riempire il mio cesto, Tyrios?» ripeté Milon senza lasciarsi turbare.

«Sì, fila verso i templi  dei tuoi dei! Dopo tutta la legna che gli hai portato per il fuoco dei sacrifici potrebbero anche ringraziarti.»

«Tyrios, se mai facessi tardi calma Agaja.»

«Me ne occuperò come sempre; non s’irriterà di certo col suo caro Milon.»

Poco dopo, la porta di casa s’apriva. Il ragazzo scivolò fuori sollevandone il battente per evitare cigolii, e la chiuse dolcemente dietro di lui. Il mercante che li aveva comprati tutti e due aveva proibito che s’allontanassero dalla casa quel giorno. Milon correva agile per le stradine che portavano all’Acropoli. S’arrampicò sulla collina rocciosa, tra i cipressi e i giardini d’ulivi. La luce dorata della sera faceva risplendere i templi che si stagliavano contro il cielo blu, simili ad una città: la città degli dei. Milon si fermò un istante incantato. Ora che doveva andarsene da Atene era come se vedesse per la prima volta l’Acropoli in tutta la sua bellezza. Mentre stava in mezzo alle colonne e agli edifici tra i quali era cresciuto sentiva il cuore battere nel petto e in lui si mischiavano l’ammirazione e il dolore. Ogni anno in primavera aveva segnato di nascosto la sua altezza su una pietra. Rallentò la corsa, come se volesse prolungare il tempo degli addii. Mentre saliva gli ultimi scalini che portavano alle grandi sale si girò per contemplare la città e le strade che sparivano nell’ombra. Lontano vedeva il mare scintillante sul quale avrebbe remato l’indomani verso l’ignoto. Salì l’ultimo scalino che portava alle grandi colonne con un senso di solennità senza notare le persone che passavano vicino a lui. S’avvicinò ad una colonna che aveva assorbito il calore del giorno e si mise a passare le dita lungo le scanalature. Sentiva il riverbero del sole; premette la fronte contro la pietra calda. Aveva chiuso gli occhi e mormorava fra sé e sé parole che gli venivano dal fondo dell’anima.

All’improvviso qualcuno lo chiamò per nome. Spaventato si allontanò dalla colonna. Alkides, il giovane sacerdote, stava davanti a lui nella sua tunica bianca. Milon aveva fatto amicizia con lui dal tempo in cui portava la legna per i fuochi dei sacrifici tre volte alla settimana, come gli aveva ordinato il suo padrone.

« Milon, sei malato? Sei in ritardo, l’offerta della sera è già terminata. Vieni, accompagnami in città!»

«Oh! Alkides, m’hanno venduto! Sono all’Acropoli per l’ultima volta, per dirle addio! Domani dovrò lasciare la Grecia su una nave. Un mercante romano mi porterà in Italia.»

Il giovane sacerdote lo guardò con sorpresa, non poteva credere a quel che stava sentendo e lo prese per il braccio.

«Cos’è successo negli ultimi giorni? Perché il tuo padrone vuole sbarazzarsi di te? Lo hai fatto arrabbiare?»

«No, Alkides. Il mio padrone è caduto da cavallo mentre si recava al tempio di Eleusi ed è morto sul colpo. Sua moglie vende la casa e gli schiavi per andare a vivere da suo figlio a Olimpia. Ieri Tyrios e io siamo stati comprati da un mercante romano.»

Milon parlava senza alzare gli occhi. Era sconvolto e Alkides non riconosceva più in lui il ragazzo che così spesso si era occupato dei lavori di preparazione dei sacrifici. La partenza da Atene, sua città natale, gli pesava sul cuore. Dopo aver riflettuto un po’ Alkides gli disse:

«Vieni nel tempio, Milon. Andiamo a pregare la dea affinché la sua benedizione ti accompagni.»

Era una strana idea. Mentre salivano insieme i gradini del tempio, le colonne si tingevano dei bagliori rossi del tramonto. Entrarono in silenzio nel Partenone. Alkides, implorando il cielo, recitò una preghiera per Milon. Poi uscirono dal santuario e si sedettero sulla sommità della scalinata, ai piedi di una grande colonna, da dove potevano contemplare il sole che spariva all’orizzonte.

«Dimmi», domandò Alkides, «come può essere successo che t’abbiano venduto per un paese così lontano? Non c’è nessuno ad Atene che abbia bisogno dei tuoi servigi?»

«Ieri al Pireo il figlio della mia padrona ha incontrato un mercante che compra giovani schiavi greci e li porta a Roma. La sua nave è ancorata nel porto, pronta per partire. Ha certamente proposto un buon prezzo per Tyrios e per me e l’affare è stato concluso. Tu sai bene, Alkides, che non si chiede il parere degli schiavi. Verranno a prenderci domani mattina. Ti devo confessare che i romani mi spaventano un po’. Ho sentito dire che portano sul loro stendardo il segno della lupa e pare che abbiano assoggettato quasi tutti i popoli della Terra. Tu cosa sai di loro?»

Milon guardava con attenzione il sacerdote come se sperasse di leggere sulle sue labbra quello che lo aspettava.

«Mio caro amico,» disse Alkides, «farei qualunque cosa per tenerti qui. È molto meglio essere schiavo ad Atene che uomo libero a Roma! Noi greci siamo tenuti a pagare regolarmente dei tributi ai romani; è l’unico contatto che abbiamo con questi fieri conquistatori. Dopo che ci hanno vinto, gli dei non ci hanno più concesso i loro favori. A Roma hanno costruito copie dei nostri templi, nei quali mettono le statue degli dei che ci rubano. I sacrifici che noi offriamo agli dei sono divenuti presso di loro degli atti esteriori, superstiziosi e privi di senso. Tuttavia non temere nulla: se la dea guida i tuoi passi verso Roma, vai e sii tranquillo. Dovunque tu sia, i numerosi fuochi dei sacrifici celebrati qui, quando tu ci portavi la legna, continueranno a bruciare in te. Le colonne e i templi dell’Acropoli vivranno nel tuo cuore. Ogni volta che sarai maltrattato, sopraffatto dalla tristezza, chiudi gli occhi e fai risplendere in te l’immagine dei santuari di Atene. Ritroverai allora il coraggio e la fiducia, perché gli dei sono eterni e regnano sugli esseri umani.»

Alkides tacque. Cercava qualcosa nelle pieghe dei suoi vestiti e ne tirò fuori una medaglia di bronzo sulla quale era impressa la testa della dea Atena.

«Tieni Milon, prendila in ricordo di Atene.»

Milon si strinse il regalo sul cuore, come se fosse la cosa più preziosa al mondo:

«Come posso ringraziarti, Alkides! Tu mi rendi la partenza dolorosa e facile nello stesso tempo. Non è forse il sole che splende su Atene e su Roma lo stesso? E le stelle, non sono forse le stesse dappertutto, quelle che girano attorno alla Terra?»

«Bene,» approvò Alkides. «Vedo che non vai a disperarti in un paese straniero. Andiamo, scendiamo insieme in città e ci lasceremo camminando. Comincia già a far notte e le prime stelle brillano in cielo. Vedi quella laggiù sopra il mare? È la stella della sera. L’astro della dea Afrodite è un buon presagio per il tuo viaggio!»

Quando nell’oscurità  Milon arrivò alla porta di casa la trovò aperta e la spinse dolcemente; Agaja, che attendeva con impazienza il suo ritorno, ne distinse il leggero cigolio. Appena scorse Milon le lacrime le salirono agli occhi:

«Tyrios è già partito in direzione del Pireo. Il mercante romano è venuto, voleva portare anche te subito alla nave.»

Milon rispose spaventato:

«La partenza però era stata fissata a domani mattina. Da dove viene questa fretta improvvisa?»

Agaja gli afferrò la mano destra stringendola tra le sue vecchie mani indurite dal lavoro e disse in tono supplichevole:

«Milon, il mercante era molto arrabbiato per non averti trovato. Ho paura che ti faccia frustare domani mattina, se tu arrivi in ritardo alla nave. Ti consiglio di non scendere al Pireo e non andare dai romani! Lascia Atene, fuggi sulle montagne verso Delfi, da mio fratello che bada alle greggi di pecore. Non andranno a cercarti lassù. Tu conosci la strada. Lassù sarai al sicuro dai tuoi inseguitori. Diventerai pastore, com’eri da bambino, e un giorno, quando tutto sarà dimenticato, ritornerai ad Atene da uomo libero!»

Le labbra di Agaja continuavano a tremare, anche quando ebbe terminato di parlare. Il suo sguardo protettivo era rivolto al giovane, da cui attendeva il consenso. Per un attimo Milon, gli occhi perduti nel cielo, guardava e riconosceva le stelle che aveva contemplato con Alkides. Scintillavano sul mare, molto al di là del muro del giardino. Allora si ricordò delle parole del giovane sacerdote:

«L’astro di Afrodite, un buon presagio per il tuo viaggio!»

In realtà, aveva già preso congedo da Atene. Andava ad intraprendere il cammino che gli era destinato: andava ad imbarcarsi per Roma, con Tyrios. Con un gesto improvviso accarezzò i capelli bianchi della buona Agaja e disse con una voce decisa, tenendole la testa tra le mani:

«Agaja, il mondo si apre davanti a me. M’imbarcherò questa sera stessa sulla nave e me ne andrò con la lupa romana. Cara Agaja, tu sei stata per me come una madre. Dovunque io sia, non ti dimenticherò mai. Sali di tanto in tanto all’Acropoli e prega per me al Partenone.»

Dopo ciò, arretrando un po’, aggiunse:

«Vado immediatamente a racimolare i miei averi nel fazzolettone che mi hai regalato, per evitare che il mercante romano se la prenda troppo, poi mi recherò in fretta al porto.»

Agaja non poteva trattenersi dal piangere dolcemente; ma siccome vedeva che Milon era deciso e sicuro di sé, lo aiutò a raccogliere i suoi pochi bagagli, ai quali aggiunse dei frutti e del pane speziato.

Poco dopo Milon apriva la porta del cortile e la sua ombra, che s’allontanava sul selciato del viottolo, sembrava indicare la direzione da seguire. Agaja lo illuminava con la sua lampada come per imprimere nella mente la sua immagine per l’ultima volta; poi, dolcemente, gli posò la mano sulla spalla. Durante questi sette anni l’aveva amato come un figlio. Pensava di aver trovato in lui una compagnia per i suoi vecchi giorni:

«Domani mattina, scenderò al porto, verrò a benedire la tua partenza.» disse ella con tono sicuro.

Siccome Milon non la contraddiceva, aggiunse:

«La troverò di certo, la tua nave. Fai in modo di vedermi; ti porterà bene!»

Milon aveva una lunga distanza da percorrere nella notte, fino al mare. Da buon corridore ben presto raggiunse la grande strada che collegava Atene al porto. Degli asini e dei muli tiravano ancora i loro carretti nell’oscurità, portando le mercanzie in città. Milon sentì ad un tratto dietro di lui i cigolii di un veicolo. Un carro elegante, tirato da cavalli e illuminato da quattro portatori di fiaccole, procedeva veloce in direzione del Pireo. “Ecco una buona occasione per non correre da solo”, pensò Milon, e si mise al ritmo del convoglio. Guidato dal chiarore delle torce avanzava più rapidamente. Milon non aveva difficoltà a correre al passo dei portatori di fiaccole, era ben allenato e felice. Aveva l’impressione di essere scortato lui stesso da queste quattro luci; e poi, non andava incontro alla stella della sera che brillava sul mare? Atene era dietro di lui, una vita nuova sembrava illuminarsi. Lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sul selciato risuonava in lui e lo calmava. Respirava rapidamente senza affannarsi, saltando persino qua e là per esprimere la sua gioia. Aveva lasciato dietro di sé la schiavitù, sebbene fino ad allora, grazie alle cure di Agaja, non gli fosse pesata troppo. Quanto al segno della lupa romana, non ingombrava il suo pensiero in questo momento. Davanti a lui si stendevano nuove rive e l’ignoto; sentiva crescere in lui il coraggio di affrontare il mondo.

Pedagogia Intuitiva

INTRODUZIONE AD UNA PEDAGOGIA INTUITIVA

AD ORIENTAMENTO ANTROPOSOFICO

Percorso teorico pratico

per lo sviluppo di nuove competenze pedagogiche e sociali

Pontedera, settembre 2014 – luglio 2017

    I bambini hanno qualità straordinarie grazie alle quali costruiranno il mondo di domani. Sono intraprendenti, seri, onesti, pieni di energia, di gioia di vivere, di interesse per quello che li circonda, sono capaci di entusiasmo e di meraviglia e hanno una grande fiducia nella bontà del mondo e degli uomini. L’educazione e l’insegnamento devono valorizzare tutte queste qualità, così che i bambini possano essere creativi ed autonomi e diventare  adulti capaci di orientarsi nella vita e di trasformare con gioia il mondo che li circonda a partire da conoscenza, competenza e iniziativa.

    Il seminario di formazione in pedagogia intuitiva si propone di sviluppare interesse ed entusiasmo attraverso l’esercizio delle arti, del lavoro manuale, del movimento, del gioco, dell’osservazione e del pensiero. Amplieremo le nostre capacità conoscitive in una prospettiva socratica di apprendimento maieutico, per sviluppare forme di pensare intuitivo e far scorrere nuova linfa vitale nell’educazione e nell’insegnamento.

    Il triennio è aperto a tutte le persone interessate all’arte dell’educazione ad orientamento antroposofico e offre la possibilità di fare un percorso ragionato con docenti europei di grande esperienza. È articolato in 30 fine settimana (10 all’anno), 3 settimane residenziali estive (una all’anno) e 32 incontri infrasettimanali facoltativi all’anno di due ore ciascuno, per un totale di 700 ore (200 di lezioni teoriche, 310 di attività artistiche, manuali e di movimento, e 190 di laboratori su temi pedagogici).

    Obiettivo del primo anno è l’esercizio del pensare organico-vivente sviluppato prima da J. W. Goethe e in seguito da R. Steiner, sul quale è possibile fondare una nuova e profonda comprensione dell’essere umano e delle sue esigenze evolutive. Tale obiettivo verrà perseguito attraverso l’esercizio delle arti (plastico-figurative, musicali-linguistiche e di movimento), lo studio e la riflessione critica sui fondamenti della cultura occidentale, della scienza e della pedagogia.

    Nel secondo e terzo anno si considereranno più da vicino la visione dell’essere umano proposta dalla scienza dello spirito antroposofica e le questioni legate all’insegnamento delle materie curricolari scolastiche.

    Il seminario prevede la realizzazione di un portfolio personale nel quale ogni partecipante raccoglierà i propri lavori di approfondimento individuale svolti con l’aiuto dei docenti. Alla fine del percorso verrrà rilasciato un attestato di partecipazione accompagnato da una lettera dei docenti con i quali i partecipanti hanno svolto i  lavori di approfondimento.

CALENDARIO DEL PRIMO ANNO

27-28 settembre 2014          Pensare organico vivente (Fabio Alessandri)

18-19 ottobre 2014               Movimento Improvvisazione Gioco (Pär Ahlbom)

29-30 novembre 2014          Pittura ad acquerello (Marco Rossi)

13-14 dicembre 2014            Euritmia (Monica Galluzzo)

17-18 gennaio 2015               Arte della parola (Marialucia Carones)

14-15 febbraio 2015              I sensi basali (Marcus Fingerle)

14-15 Marzo 2015                   Movimento Improvvisazione Gioco (Pär Ahlbom)

11-12 aprile 2015                     La visione goetheanistica del mondo (J. Deschepper)

9-10 maggio 2015                    Le qualità dell’insegnante (Hans Ulrich Schmutz)

6-7 giugno 2015                        Cesteria (Narayana Cassini)

4-11 luglio 2015                        Il lavoro manuale in asilo (Beatrice Kurmann)

Facendone richiesta è possibile anche partecipare a singoli fine settimana.

INCONTRI INFRASETTIMANALI

Tra un fine settimana e l’altro sono previsti il mercoledì dei laboratori pomeridiani teorico-pratici della durata di due, nei quali verranno approfonditi in forma di confronto dialogico i temi trattati nei fine settimana.

ORARIO INDICATIVO DEI FINE SETTIMANA

venerdì 18.30-20.00 Conferenza di presentazione (luogo da definire)
sabato 9.00-9.45 Colloqui individuali
10.00-11.00 Euritmia
11.15-12.30 Lezione principale
12.30-14.15 Pranzo
14.15-15.10 Attività artistiche
15.10-16.10 Introduzione alla pedagogia intuitiva
16.25-18.55 Lezione principale
19.00-20.30 Cena
20.30-21.30 Musica, Racconti, letture e testimonianze
domenica 9.00-10.00 Euritmia
10.15-12.15 Lezione principale
12.30-14.00 Pranzo
14.00-14.55 Attività artistiche
15.10-16.45 Lezione principale
17.00-18.00 Idee per l’autoeducazione dell’adulto

 

I DOCENTI DEL PRIMO ANNO

  Pär Ahlbom: (1932) musicista e compositore, è cofondatore e insegnante della Scuola Waldorf Solvik di Järna (Svezia). È ideatore e docente del percorso di formazione triennale sulla pedagogia intuitiva che si tiene da anni in Svezia e in diverse città della Germania. (www.intuitivepaedagogik.de, www.solvikskolan.se)

Hans Ulrich Schmutz: (Zurigo, 1945) si è laureato in geologia presso l’università di Zurigo. Dopo aver lavorato per sette anni in campo sociale con gli studenti, ha insegnato per diciotto anni geografia e tecnologia presso la scuola Rudolf Steiner di Wetzikon (Svizzera). Attualmente è attivo nella formazione degli insegnanti e nella ri-cerca scientifica. Ha pubblicato per la casa editrice tedesca Verlag Freies Geistesleben La struttura tetraedrica della terra  e  L’insegnamento della geografia dalla IX alla XII classe delle scuole Waldorf.

Marco Maurizio Rossi: (Milano, 1948) dopo aver frequentato scuole di grafica e illustrazione, fotografia e musica, ha lavorato a Milano come illustratore. Nel 1979, insieme ad amici e collaboratori ha fondato un centro culturale a Giove, in Umbria, dove si sono tenuti molti seminari artistici. Dal 1985 si è dedicato completamente alla pittura e all’illustrazione, seguendo il metodo del pittore Giuseppe Assenza. Per la casa editrice Edilibri di Milano ha realizzato le illustrazioni di otto libri di fiabe dei fratelli Grimm. Tiene corsi di pittura e disegno in diverse città italiane. (www.marcomauriziorossi.com)

Marcus Fingerle: (Bolzano 1956) insegnante di storia e filosofia a Verona, è pedagogista curativo. Collabora con il Gruppo di Studio e Ricerca Medico Pedagogico di Verona e con il Korczak Institut di Nürtingen/Stoccarda diretto da Henning Koehler. Di quest’ultimo ha tradotto in italiano diversi libri.

Beatrice Kurmann: (Aarau-Svizzera 1957) nel 1977 decide di vivere in Ticino e insieme al primo lavoro, con bambini disabili, trova l’antroposofia e la pedagogia di Rudolf Steiner. Frequenta il corso di formazione per maestre d’asilo Waldorf a Hannover (Germania) e di ritorno fonda il primo gruppo d’asilo della Scuola Rudolf Steiner di Lugano (Svizzera), dove lavora fino ad oggi. Dal 1989 tiene corsi e conferenze di pedagogia sul primo settennio. Collabora con diversi seminari di formazione. È madre di tre figli adulti.

Jan Deschepper: (Olanda 1960) ha i diplomi magistrale e di perito agrario e ha insegnato orticultura in una scuola agraria e in una scuola speciale. Ha frequentato il seminario residenziale biennale per insegnanti Waldorf a Dornach (Svizzera). Da ventidue anni è insegnante di liceo in diverse scuole Waldorf e ha partecipato alla nascita del liceo Waldorf di Weimar. Da otto anni è docente ospite al seminario di formazione Waldorf per insegnanti delle superiori a Kassel e da tre insegna al seminario di formazione per maestri Waldorf di Monaco di Baviera.

Fabio Alessandri: (Milano 1961) si dedica da più di trent’anni all’approfondimento dell’opera di Rudolf Steiner, di cui ha tradotto in italiano alcuni testi fondamentali. Burattinaio, animatore, insegnante di musica, maestro elementare, cantastorie, è attivo dal 1994 come formatore degli adulti  in campo pedagogico e antroposofico. È ideatore e responsabile del Seminario di Introduzione alla Pedagogia Intuitiva che ha sede presso Spazio Nu di Pontendera. (www.triartis.eu5.org)

Marialucia Carones: (Roma 1964) attrice diplomata a Roma nella scuola diretta da Gigi Proietti, ha proseguito gli studi presso il Gotheanum di Dornach (Svizzera). Ha lavorato sotto la direzione di Michael Knapp, Cristopher Marcus, Saskia Mees, Cecilia Bertoni, Schimon Levi. Dal 1989  insegna Arte della Parola e Pedagogia Teatrale a Milano, Roma, Bologna, Basilea. Ha curato la regia di alcune produzioni per ragazzi del teatro «Le Maschere» di Roma. Dal 2006 dirige insieme a Paolo Giuranna la prima scuola italiana di Arte della Parola.

Monica Galluzzo: (Bologna 1965) Diploma di infermiera professionale, assistente alle comunità infantili, euritmia (London College Eurythmy), euritmia terapeutica (Therapeutic Eurythmy Training of North America, Copake – NY), euritmia aziendale (Instituut voor Eurythmie in Werkgebieden, Olanda). Master in euritmia artistica (School of Eurythmy Spring Valley, NY) e specializzazione di euritmia terapeutica delle patologie oculistiche (Dornach, Svizzera). Pratica l’euritmia pedagogica, artistica, terapeutica e aziendale collaborando con realtà diverse.

Narayana Cassini: (Sansepolcro 1978) diplomata all’Istituto d’arte di Sansepolcro (AR) e laureata in archeologia all’università degli studi di Siena, è madre di 4 figli e vive da sempre vive in campagna. Collabora con il CESQ (Centro Studi sul Quaternario) in Valtiberina, svolgendo attività didattiche e sperimentali in ambito archeologico. È appassionata di artigianato tradizionale e di saperi  legati alla vita in armonia con le stagioni e il territorio.

Elisa Martinuzzi: (Udine 1981) diplomata nel 2009 all’accademia di euritmia pedagogica dell’Aia, Olanda. Dal 2011 lavora sul territorio toscano con scuole, gruppi di adulti e associazioni (tra cui lo Spazio NU di Pontedera) per la promozione della coscienza attraverso il movimento e dell’euritmia. Dal 2012 é insegnante di euritmia presso la scuola steineriana M.Garagnani di Bologna. Nel 2013 si specializza in euritmia igienica a Roma con Margrit Hitch e nel 2014 completa la formazione in euritmia sociale con Annemarie Ehrlich.

Per informazioni: triartis@gmail.com – 327.0166738

iniziativa e responsabilità

INIZIATIVA E RESPONSABILITA’:

COME LAVORARE INSIEME PER UNA COMUNITA’ SANA?

  1-2 marzo 2014,  Vallebona (IM)

Seminario con Fabio Alessandri

Quando un gruppo di persone si unisce per realizzare insieme un’iniziativa sorgono molte domande che vanno affrontate per tempo, se si vuole dare solide basi al proprio lavoro comune. Nel fine settimana proposto cercheremo di mettere a fuoco le domande più importanti che riguardano la formazione di un gruppo di lavoro che cerchi le vie per uscire da modalità gestionali tradizionali di tipo piramidale. Come possono i processi decisionali partecipati andare d’accordo con il principio della responsabilità individuale? Come si può promuovere competenza e partecipazione dei singoli, senza cadere in dinamiche di gruppo che indeboliscono la comunità anziché rafforzarla?

INFO: http://associazionesteinerianavallebona.wordpress.com

Osservatorio pedagogico


Le nostre azioni sono sempre guidate da sentimenti, pensieri, desideri, passioni, ma quando incontriamo dei problemi non sempre ci rendiamo conto di come essi dipendano in buona parte da quello che inconsapevolmente si agita in noi.

Gli incontri dell’Osservatorio Pedagogico offrono la possibilità di imparare a distinguere le nostre difficoltà personali da quelle dei bambini, sviluppando la capacità di osservazione retrospettiva delle esperienze vissute, con un metodo semplice e pratico che chiunque è in grado di elaborare e che può dare risultati significativi nel giro di breve tempo: un partecipante viene invitato a raccontare in modo molto sintetico una situazione in cui ha avuto delle difficoltà con i bambini, mentre gli altri devono fare al primo delle domande per ricostruire l’accaduto, sia dal punto di vista dei comportamenti esteriori che da quello dei vissuti interiori. Il conduttore aiuta i partecipanti ad accorgersi se stanno giudicando, criticando o interpretando, anziché limitarsi a ricostruire i fatti. Esercitando così un’osservazione spregiudicata si arriva a poco a poco a individuare comportamenti nuovi e più efficaci che, nel rispetto della libertà del bambino, semplificano la vita ai grandi e ai piccoli e mostrano nuove possibilità educative.

Fabio Alessandri è stato insegnante di musica, maestro elementare e burattinaio. Dal 1980 studia e approfondisce la pedagogia antroposofica inaugurata da Rudolf Steiner. Da vent’anni è attivo nella formazione pedagogica degli adulti, tiene laboratori di attività artistiche e manuali per i bambini e fa il cantastorie. Ha organizzato a Firenze un seminario triennale di introduzione alla pedagogia intuitiva con docenti europei di grande esperienza. Attualmente promuove le sue iniziative nelle province di Firenze, Pisa e Livorno.

GLI INCONTRI DELL’OSSERVATORIO PEDAGOGICO RIPRENDONO DOPO LE VACANZE ESTIVE.

TROVERETE IL CALENDARIO DEI NUOVI INCONTRI A SETTEMBRE.

BUONA ESTATE A TUTTI!

da Nelson Mandela

La nostra
paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra Luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più. Ci chiediamo: “Chi sono io
per ritenermi brillante, pieno di talenti, favoloso?”
In realtà chi sei tu, per non esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. Non c’è nulla
di illuminato nello sminuire se stessi, così che altri non si sentano sicuri
intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini. Siamo nati
per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente
offriamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza automaticamente libera gli altri.
(Nelson Mandela)

Etty Hillesum: ebrea o cristiana?

 

23 settembre 1942     «Klaas, non si combina niente con l’odio, la realtà è ben diversa da come ce la costruiamo noi. Prendi quel nostro assistente. Lo vedo spesso nei miei pensieri. La cosa che più colpisce in lui è il suo collo diritto e rigido. Odia i suoi persecutori con un odio che suppongo sia giustificato. Ma anche lui è un uomo crudele. Sarebbe un perfetto capo di un campo di concentramento. L’osservavo spesso  mentre stava all’ingresso, quasi fosse là  per scacciare i suoi compagni ebrei scacciati, non era mai uno spettacolo molto consolante. Mi ricordo ancora il modo in cui aveva dato a un bambino di tre anni che piangeva due sporchi pezzi di liquirizia: glieli aveva buttati sulla tavola di legno dicendogli paternamente: sta’ attento a non sporcarti il muso. Ripensandoci credo si trattasse di goffaggine e di timidezza piuttosto che di malagrazia: semplicemente non riusciva a trovare il tono giusto. Ma era anche uno dei giuristi più brillanti in Olanda e i suoi articoli così intelligenti erano formulati alla perfezione. Ogni volta che lo vedevo girare tra la gente, con quel collo diritto, lo sguardo dispotico e la sua eterna pipetta, mi veniva da pensare: gli manca solo una frusta in mano, gli starebbe magnificamente bene. In certi momenti mi faceva una pena terribile. Aveva , una bocca così insoddisfatta, o meglio, così infelice: era la bocca di un bambino di tre anni che non è riuscito a imporsi a sua madre. Nel frattempo lui aveva passato la trentina, era diventato un bell’uomo, noto giurista e padre di due figli. Ma quella bocca da bambino insoddisfatto di tre anni gli era rimasta tale e quale, anche se naturalmente era diventata un po’ più grossa col passar del tempo. A guardarlo bene non era affatto attraente.

Vedi Klaas, quell’uomo era pieno di odio per quelli che potremmo chiamare i nostri carnefici, ma anche lui avrebbe potuto essere un perfetto carnefice e persecutore di uomini indifesi. Eppure mi faceva tanta pena. Non aveva mai contatti amichevoli con i suoi compagni, e se questo succedeva agli altri li guardava di sottecchi, con un’espressione così affamata (potevo vederlo e osservarlo in continuazione, in quel luogo si viveva senza muri). Più tardi un collega che lo conosceva da anni mi aveva raccontato alcuni particolari della sua vita. Nei primi giorni della guerra si era buttato in strada dal terzo piano, ma non era riuscita ad ammazzarsi, come doveva pur essere sua intenzione. in seguito ci aveva riprovato, questa volta sotto una macchina, ma anche questo tentativo era fallito. Poi aveva trascorso qualche mese in un istituto per malattie mentali. Era paura, tutta paura. Era un giurista così brillante e acuto e nelle discussioni accademiche aveva sempre l’ultima parola. Ma nel momento decisivo era saltato giù dalla finestra. Sua moglie doveva camminare per casa in punta di piedi e lui faceva delle scenate ai figli atterriti. Mi faceva tanta, tanta pena. Che vita è mai questa?

Klaas, volevo solo dire che abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi. E non ho neppure finito quando dico che anche fra noi esistono carnefici e persone malvagie. In fondo io non credo affatto nelle cosiddette “persone malvagie”. Vorrei poter raggiungere le paure di quell’uomo e scoprirne la causa, vorrei ricacciarlo nei suoi territori interiori, Klaas, è l’unica cosa che possiamo fare di questi tempi.

Allora tu Klaas hai fatto un gesto stanco e scoraggiato e hai detto: ma quel che vuoi tu richiede tanto tempo, e ce l’abbiamo forse? Ho risposto: ma a quel che vuoi tu si lavora d duemila anni della nostra era cristiana, senza contare le molte migliaia di anni in cui esisteva già un’umanità. E che cosa pensi del risultato, se la domanda è lecita? – hai detto tu.

E con la solita passione, anche se cominciavo a trovarmi noiosa perché finisco sempre per ripetere le stesse cose, ho detto: è proprio l’unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dovere distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitalee.

E tu Klaas, vecchio e arrabbiato militante di classe, hai replicato sorpreso e sconcertato insieme: sì, ma – ma questo sarebbe di nuovo cristianesimo!

E io , divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma: certo, cristianesimo – e perché poi no?»

(Etty Hillesum, Diario, Adelphi)

«La filosofia della libertà» di Rudolf Steiner

COME LEGGERE  LA FILOSOFIA DELLA LIBERTA’  DI RUDOLF STEINER?

di Fabio Alessandri

                               “L’antroposofia è una via di conoscenza…”

                                (Rudolf Steiner, Massime antroposofiche)

Un giorno, intorno agli anni Venti del secolo scorso, chiesero a Rudolf Steiner che cosa della sua opera avrebbe resistito alla prova del tempo. La risposta fu: «Niente altro che La filosofia della libertà. Ma in essa è contenuto tutto il resto. Chi realizza l’atto di libertà in essa descritto trova l’intero contenuto dell’antroposofia» (citato in Fiducia nel pensare di Giancarlo Roggero, Tilopa 1995, pag 55). Di fronte a una simile affermazione le persone seriamente interessate alla ricerca scientifico-spirituale non possono che domandarsi cosa significhi realizzare l’atto di libertà di cui parla lo Steiner. Cercando nella sua opera ulteriori indicazioni al riguardo si trovano numerosi passi nei quali si dice che se La filosofia della libertà deve diventare ciò per cui è stata scritta, deve essere letta diversamente da come si legge un qualsiasi altro libro:

«Questa Filosofia della libertà non è scritta con la stessa intenzione con cui oggi vengono per lo più scritti libri. Oggi si scrivono libri con lo scopo di informare semplicemente l’interessato sul contenuto di ciò che viene comunicato, così che egli, a seconda delle conoscenze acquisite in precedenza, della sua formazione o della sua cultura scientifica, prenda atto di ciò che si trova contenuto nel libro. La mia Filosofia della libertà fondamentalmente non è affatto intesa in questo modo. Perciò non è proprio amata da chi di un libro vuole soltanto essere al corrente del contenuto. La mia Filosofia della libertà è intesa così che ci si deve conquistare pagina dopo pagina la propria attività pensante, in modo tale che il libro stesso sia solo una specie di partitura e che si debba leggere questa partitura in interiore attività di pensiero a partire da se stessi.» [Gesamtsausgabe 322, p.110[1]

Il primo passo quindi consiste nello sviluppare una modalità di lettura nuova. Il riferimento alla pratica musicale costituisce un’indicazione fondamentale che Steiner riprende in molte conferenze. Vediamo come possiamo intenderla.

Quando ascoltiamo con piacere un brano musicale, sperimentiamo un’emozione che non dipende dalla nostra attività cosciente e non ha niente a che fare con la conoscenza che abbiamo della musica. La musica fa risuonare in noi qualcosa di misterioso che ci appartiene profondamente, l’emozione che ci dà è paragonabile a quella data da un romanzo avvincente: ne siamo coinvolti, ma non potremmo certo scrivere noi stessi qualcosa di simile.

Le cose cambiano se vogliamo studiare musica. In questo caso non ci abbandoniamo alle nostre sensazioni, ma dirigiamo la nostra attenzione verso aspetti particolari dello studio come la melodia, il ritmo, l’armonia, la dinamica. In questo modo, attraverso la pratica e l’esercizio, cominciamo a percepire quanto prima sfuggiva alla nostra osservazione e a sviluppare la sensibilità grazie alla quale più tardi, applicandoci nello studio di uno strumento, cercheremo consapevolmente di far provare agli altri l’emozione che all’inizio provavamo noi stessi nell’ascolto.

La stessa esperienza può essere fatta in relazione alla scienza dello spirito. Leggendo o ascoltando quanto essa ha da dire si può provare un coinvolgimento per un certo verso simile a quello dato dall’ascolto di un brano musicale che ci emoziona. Se però vogliamo stabilire un rapporto cosciente con la dimensione spirituale e testimoniare efficacemente di ciò che la scienza dello spirito ha da dire, dobbiamo intraprendere uno studio simile a quello musicale. In altre parole dobbiamo esercitare l’attività di pensiero come ci eserciteremmo col violino o col pianoforte. Leggiamo un’altra indicazione dello Steiner:

«L’uomo può già arrivare molto lontano in relazione a questa catarsi se egli per esempio ha trattato e sperimentato tutto ciò che si trova nella mia Filosofia della libertà così interiormente da avere il sentimento che il libro sia stato per lui uno stimolo, ma che egli possa ora in verità riprodurre da sé i pensieri esattamente come si trovano in esso. Se qualcuno si comporta rispetto a questo libro come si comporta all’incirca un virtuoso nel suonare un pezzo al pianoforte nei confronti dell’autore del brano, così che egli produca l’insieme da se stesso – naturalmente nel modo corrispondente –, allora grazie alla sequenza di pensieri severamente articolata di questo libro può essere raggiunta già fino ad un grado elevato la catarsi. Infatti in simile cose, come in questo libro, ciò che conta appunto è che i pensieri siano tutti posti in modo da diventare efficaci.» [Gesamtsausgabe 103, p.195]

Come il virtuoso studia un brano musicale e arriva a ricreare senza leggere lo spartito ciò che era stato fissato sulla carta a partire da se stesso, così chi vuole realizzare l’atto di libertà descritto ne La filosofia della libertà deve esercitarsi a ricreare interiormente i pensieri in essa esposti. Questo è possibile solo se dopo aver letto ci si concentra in se stessi e si prova a ricostruire quanto è stato letto. Non si tratta di imparare a memoria il testo, ma di formulare interiormente i pensieri che ne sono alla base, approfonden-dosi in essi e verificando in che misura corrispondano a quanto il singolo sperimenta nella sua attività conoscitiva e morale.

Per procedere in questa direzione si tratta anzitutto di superare una difficoltà molto diffusa, dovuta al fatto che ognuno di noi si ritiene capace di pensare, pur non essendosi mai esercitato a farlo consapevolmente. Chi non si è mai esercitato nell’arte del pensare può solo esprimere concetti e idee sviluppati secondo abitudini di pensiero consolidate a partire da educazione e cultura dominante. Se invece ci si educa a pensare partendo dalla propria attività interiore e collegando consapevolmente pensiero a pensiero secondo nessi che appartengono al pensare stesso, si possono fare esperienze simili a quella qui di seguito descritta dallo Steiner:

«Ora immaginate di poter avere pensieri in puri flussi di pensiero. Allora arriva per voi il momento in cui avete condotto il pensare fino ad un punto al quale non ha più assolutamente bisogno di venir chiamato pensare. È diventato in un batter d’occhio – diciamo in un batter di pensiero – qualcos’altro. Di fatto questo pensare, chiamato a ragione «pensare puro», è diventato pura volontà; è assolutamente volere. Se siete progrediti in campo animico al punto di avere liberato il pensare dalla visione esteriore, allora in questo modo esso è diventato contemporaneamente pura volontà. Voi fluttuate, se mi è lecito dire così, col vostro elemento animico in un puro corso di pensieri. Questo puro corso di pensieri è un puro corso di volontà. Ma con ciò il puro pensare, addirittura lo sforzarsi per esercitarlo, comincia ad essere non solo un esercizio di pensiero, ma un esercizio di volontà, e per la precisione un esercizio che fa presa fin nel centro dell’uomo. Infatti voi farete questa notevole osservazione: solo ora potete parlare del fatto che il pensare, così come lo si conosce nella vita abituale, è un’attività della testa. Fino a questo momento non avete assolutamente alcun diritto di dire che il pensare è un’attività della testa, poiché voi lo sapete solo esteriormente dalla fisiologia, dall’anatomia e così via. Però ora sentite interiormente che non pensate più così in alto, ma cominciate a pensare col petto. Voi intessete effettivamente il vostro pensare col processo della respirazione; in questo modo stimolate ciò a cui hanno teso gli esercizi. In quanto il pensare diventa sempre più un’attività della volontà, voi osservate che esso si «estrae» prima dal petto dell’uomo e più tardi da tutto il corpo dell’uomo. È come se voi tiraste fuori questo pensare dall’ultima cellula dell’alluce. E se voi studiate con partecipazione interiore quanto è apparso nel mondo in modo quanto mai imperfetto – non voglio difendere la mia Filosofia della libertà –, se lasciate agire su di voi qualcosa di simile e sentite cosa sia questo pensare puro, allora sentite che è nato in voi un nuovo uomo interiore che può portare ad uno sviluppo della volontà a partire dallo spirito.» [Gesamtsausgabe 217, p.148]

Tutto sta nel riuscire a ricreare interiormente per attività propria i pensieri esposti ne La filosofia della libertà fino a sentirne la realtà interiore. Quanto in essa viene esposto non è altro che il risultato di un’attenta osservazione della vita dell’anima propria ad ogni essere umano e della sua relazione con la pratica di tutti i giorni. Sforzandosi pazientemente di percepire nell’interiorità quanto in tale testo viene descritto possiamo arrivare a percepire l’elemento spirituale che vive in noi e ritrovare così l’unità di pensiero, sentimento e volontà, la cui separazione è caratteristica della nostra epoca

9 ottobre 2007



[1] Le indicazioni del numero di pagina si riferiscono all’edizione tedesca.